Thailandia fai da te – Parte 2: il viaggio è iniziato
Thailandia fai da te: non è andata come previsto. È andata meglio.
Qui ti racconto com’è andata, puntata dopo puntata, e ti faccio scoprire il mio itinerario per un viaggio indimenticabile.

Il viaggio non era ancora iniziato, ma in fondo… lo stavamo già vivendo da settimane.
Tra ricerche, itinerari e ansia da partenza, l’adrenalina era a mille.
La domenica prima, a casa, era un delirio di cose da ricordare, zip aperte e chiuse, e mia moglie — come da tradizione — in modalità “porto anche questo, non si sa mai”. Io cercavo di mantenere il sangue freddo: “Non riempirle tutte le valigie! E i souvenir dove li mettiamo?”
Spoiler: ho dovuto comprarne un’altra in Asia. E ovviamente, chi la portava? Io.
La partenza ufficiale è lunedì. Il nostro volo intercontinentale parte da Malpensa il giorno dopo, quindi ci organizziamo con una notte a Ferno, per stare tranquilli.
Avevo anche pensato: “Facciamo un salto a Milano?” — bastano 30 minuti di treno — ma alla fine decidiamo di preservare le energie per quando arriveremo a Singapore. La sera a Ferno passa tra una cenetta easy e un po’ di riposo in stanza.
Io, di solito, prima di un viaggio dormo bene. Ma quella notte non ho chiuso occhio.
C’era l’agitazione giusta, quella che ti fa sentire vivo. Mia moglie, invece, già in modalità ansia pre-volo. Classico.

La mattina dopo, la signora del B&B ci accompagna alla stazione — un gesto semplice ma prezioso. Da lì, il treno per Malpensa, poi check-in, controlli, e un giro distratto tra i negozi dell’aeroporto. Cerchiamo di distrarci, ma l’adrenalina inizia a salire. E poi lo vedo. L’aereo. Il nostro.
Fermo lì, dietro il vetro, pronto a portarci dall’altra parte del mondo. Mi giro verso mia moglie, sorrido, e le dico: “Amò… quello ci porta a Singapore.”
E in quel momento, tra un selfie e un respiro profondo, ho capito che stavamo davvero partendo.

Si parte con Saudia Airlines, prima tratta: Malpensa → Jeddah.
L’aereo è pieno, i sedili un po’ stretti e ovviamente ci capita la fila completa — stretti ma carichi. A bordo ci servono il pranzo: una mousse al cioccolato sorprendentemente buona, e un chicken tikka masala che… si lasciava mangiare.
Ci vediamo un film dallo schermo davanti a noi: Harry Potter, come sempre. È il nostro rito pre-viaggio, il “comfort movie” che ci tiene compagnia tra una portata e un pisolino. Però a Jeddah ci aspetta il primo vero imprevisto.
Appena atterrati, ci rendiamo conto che c’è una marea di gente. L’aeroporto è un crocevia di voli internazionali, e i controlli si rifanno da capo.
La fila per i controlli è lunghissima, (si, ci hanno fatto ripassare sotto al metal detector e ricontrollato il bagaglio a meno) personale freddo, zero sorrisi. Lì, per la prima volta, ho pensato: “E se perdiamo la coincidenza?”, L’enorme coda scorreva a rilento e il tempo…
passava inesorabile.
Avevamo due ore di scalo, ma stavano volando via una dopo l’altra, e noi ancora fermi lì. Alla fine, con un po’ d’ansia e il passo accelerato, saliamo sull’aereo a dieci minuti dalla chiusura del gate.
Col fiatone. Ma ce l’abbiamo fatta.
Dopo qualche ora di volo arriva il Secondo scalo: le Maldive.
Non dovevamo cambiare aereo, ma appena mi affaccio al finestrino… resto senza parole. Il mare blu intenso, le isole disegnate come se fossero finte, la luce dell’alba che colora tutto. È stato il primo vero “wow” del viaggio.
Scatto una foto, la guardo e mi dico: “Non potevamo iniziare meglio.”

Dopo oltre 16 ore di viaggio, atterriamo a Singapore.
Lo Changi Airport è qualcosa di incredibile. Immenso, luminoso, elegante. C’è verde ovunque, silenzio ovattato, e tutto funziona con una precisione quasi irreale. Dopo ore di volo, atterrare lì è quasi rilassante. Ma si sa, nessun viaggio può iniziare davvero senza il primo vero imprevisto. Arriviamo al nastro bagagli, i due trolley che avevamo portato a bordo sono con noi, per fortuna. La valigia da stiva, quella di mia moglie, invece… non c’è. Aspettiamo. Niente. Ci guardiamo intorno. E capiamo subito che non siamo soli: anche altri passeggeri — tra cui un gruppo di ragazzi spagnoli diretti in Australia — sono senza bagagli.
Il mistero si svela in fretta: chi aveva fatto scalo a Jeddah, ha perso tutto. Valigie sparite. Una fila lunghissima si forma davanti all’ufficio smarrimenti. La ragazza allo sportello, una volta arrivato il nostro turno, è gentile e rassicurante, prende i dati, ci dà un numero di riferimento e ci dice che, se ritrovata, la valigia verrà recapitata direttamente in hotel. Sorrisi e buone intenzioni, ma io non avevo molte speranze.
Dentro quella valigia c’era tutto. O meglio, c’era tutto il mondo di mia moglie: vestiti, scarpe, il phon, accessori e Dio solo sa cos’altro si era portata dietro. Era da settimane che stava preparando la lista delle cose da portare. Lei era un pò demoralizzata, lo vedevo. Ed io ho cercato di farla sorridere: “Sarà tornata indietro da sola. Forse si era scordata qualcosa.” Spoiler: lei non ha riso... Peccato perchè non mi sembrava tanto male

Dopo oltre due ore — tra fila, moduli e rassegnazione — finalmente saliamo su un autobus pulitissimo, profumato, con i sedili morbidi e l’aria condizionata perfetta.
Fuori è buio, ma tutto intorno a noi è illuminato con una luce gentile, quasi cinematografica. Seduto lì, con la testa appoggiata al finestrino, inizio a guardare il mondo scorrere.
Palme, palazzi ordinati, strade pulitissime, e poi, all’improvviso, una rotonda con un albero di Natale enorme, tutto illuminato. Sotto c’è scritto semplicemente: “Singapore”.
Guardo mia moglie, poi guardo me stesso: maglietta, jeans corto, zaino sulle ginocchia. Fuori è dicembre, ma sembra estate. Eppure, è Natale. In Asia.
Una strana emozione si mescola a tutto: un piccolo shock culturale, ma anche una bellezza silenziosa che comincia a scavarti dentro.
Scendiamo a pochi minuti a piedi dal nostro hotel, in Hongkong Street.
Il quartiere è tranquillo, illuminato solo da qualche lanterna e dai riflessi dei locali ancora aperti.
Entriamo all’Hotel Clover, sistemiamo i documenti, prendiamo le chiavi.
La stanza è semplice, ma profuma di nuovo. Il bagno è spazioso, pieno di saponi ordinati come in una scatola regalo.
Non è un hotel da rivista, ma è il nostro primo nido a Singapore. E per me, va benissimo così. Sono le 21:30 passate. Dovremmo essere stanchi morti. E lo siamo. Ma restare in camera? Impossibile. Buttiamo i trolley sul letto, beviamo un sorso d’acqua, ci guardiamo e… via. Usciti di nuovo. Destinazione: Marina Bay.

Pochi minuti a piedi, e poi ci siamo.
Il fiume, le luci, l’umidità che ti abbraccia, il silenzio che non è mai silenzio davvero.
Davanti a noi, il Marina Bay Sands svetta come un’astronave. Il Merlion ci guarda da lontano, l’acqua che sgorga dalla sua bocca riflette tutte le luci della baia. Ci fermiamo a cercare la foto perfetta, quella che avevamo in mente da settimane. Non esiste, ovviamente, ma ci proviamo lo stesso, ridendo.
Attraversiamo il Jubilee Bridge, passiamo davanti all’Esplanade, vediamo l’area in ristrutturazione dove un giorno sorgerà l’NS Square.

Poi l’Helix Bridge, con la sua struttura a spirale che sembra danzare sull’acqua, ci porta davanti al colosso: il Marina Bay Sands. Camminiamo fino alla Horizon Bench, una panchina gigante dove facciamo le prime foto sceme della vacanza. Ci fermiamo un attimo lì, seduti. A guardare la città. A guardarci. A non dire nulla. Il piano originale prevedeva di arrivare ai Gardens by the Bay. Ma le due ore perse in aeroporto ci hanno costretto a cambiare itinerario. E va bene così. Questa prima camminata notturna ci è bastata per capire che Singapore non la dimenticheremo.

A cena ci fermiamo in un locale trovato per caso, uno di quelli dove entri perché ti piace la luce che esce dalla porta.
Poi, con gli occhi ancora pieni e i piedi che iniziano a sentire la stanchezza del viaggio, torniamo in hotel. Finalmente ci buttiamo sul letto. Stanchi, leggeri, increduli.
Il viaggio è iniziato davvero. E domani… sarà solo l’inizio. MACHEJOYAVIAGGIARE!
👉 Ti sei perso l’inizio? Recupera la Parte 1 – L’organizzazione del viaggio
👉 Oppure continua con la Parte 3 – Da Marina Bay a Little India, a piedi nel sogno